La bambina di nome Etna. Marinella Fiume racconta ‘a Muntagna ai ragazzi

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«Ahiahi, lasciatemela tutta per me questa Montagna aspra che stanotte bramiva la sua rancura eterna e sconfortata» scriveva Santo Calì ne “La notti longa”, rendendo omaggio a Idda, ‘a Muntagna. Etna mito d’Europa e crocevia di personaggi reali e mitologici, dalle Sirene ai Ciclopi, da re Artù alla Fata Morgana, dal filosofo Empedocle a Pietro Bembo, l’Etna è un’enciclopedica simbolica dell’ignoto, una metafora cosmica dove il regno della vita e della morte si toccano e sembrano rimandare a uno loro intimità primigenia. Lo sa bene la studiosa Marinella Fiume, che si è cimentata più volte in scritti etnei, ma questa volta si rivolge alle radici del futuro, agli adolescenti.

Le illustrazioni di Alessandro Filetti ci accompagnano lungo la storia etnea, trattando esistenze che hanno attraverso il Vulcano. Nonno Jan, un botanico pacifista olandese in fuga dalla sua patria per il rifiuto di prestare servizio militare allora obbligatorio, capita negli anni Ottanta del secolo scorso in un villaggio tra le pendici etnee e il mare Jonio dove si ferma, mette su famiglia e un’azienda florovivaistica. Quando nasce la sua prima nipotina le impone il nome di Etna, in omaggio all’Eden di pace e fecondità che ha trovato vivendo ai suoi piedi. A lei, divenuta una bambina di 10 anni circa, e per rispondere alle sue domande scaturite dal perchè del suo bizzarro nome, racconta tutto di questo straordinario “catasto magico”, illustrando, l’origine del Vulcano, le eruzioni storiche, i terremoti, la natura, gli antichi mestieri, sino alla nomina di “patrimonio dell’umanità”. Si racconta del cirneco dell’Etna, un cane che vive qui da millenni, dall’incredibile rassomiglianza con le raffigurazioni di dio Anubi dell’antico Egitto.

Mariella Fiume riesce a riproporre il patrimonio leggendario del vulcano rivolgendolo alla generazione capace di sognare e di immergersi nelle mirabolanti vicende che caratterizzano i protagonisti mitici e reali. Come nel caso degli eventi disastrosi dovuti alle eruzioni, in cui gli abitanti delle falde dell’Etna si affidano anche a uno stuolo di santi che chiamano in soccorso nei casi estremi. Uno di questi è Sant’Egidio abate, patrono di Linguaglossa, sul versante nord- est dell’Etna. Una leggenda racconta che nel corso dell’ennesima colata che aveva raggiunto le porte della cittadina, gli abitanti evacuarono il paese portando in salvo poche cose. Restò solo una vecchina paralitica che, disperata, invocò Sant’Egidio, e questi le apparve, le diede il suo bastone dicendole «Non avere paura, prendi questo bastone, appoggiati ad esso e alzati, vai davanti alla lava che scende, tocca le pietre infuocate con questo, piantalo sulla terra incandescente e vedrai che la lava si fermerà».

La vecchietta obbedì, prese il bastone, si alzò miracolosamente, fermò il torrente di lava e salvò sè stessa e la città. Era il 1566, secondo la tradizione, ma non si contano le volte che gli abitanti di Linguaglossa, a ogni pericolosa colata che minaccia la città, ripetono il rito. La narrazione comincia con un pacifista e finisce con Greta Thunberg, entrambi stranieri, affratellati da un autentico spirito di integrazione e amore per la natura, madre terra e il pianeta. L’Etna le sue pendici è il luogo dove questo può effettivamente avvenire.

Un testo che si propone di costruire un ponte fra generazioni, attraverso cui far arrivare ai giovani le storie etnee. In tempi difficili come questi, in cui la natura ci ricorda quanto sia spesso superficiale l’agire umano, è importante andare a riscoprire le origini della nostra storia recente: quelle stagioni – intrise anche di ingenuità, ma anche di trascinante entusiasmo – nelle quali hanno vissuto gli avi.

Riscoprire il vulcano in una veste pedagogica, volendo offrire una chiave di lettura che non sia mero omaggio alle tradizioni orali e ai ricordi, ma che dia il senso più vero dell’attaccamento profondo tra gli abitanti e il patrimonio naturale. La bambina di nome Etna ha compiuto vent’anni, vive in Australia, e quest’estate riabbraccerà la sua isola e la sua “Montagna”. «Utopia è una parola che deriva dal greco e significa “in nessun luogo”, io ho ambientato sull’Etna il luogo dell’utopia», l’autrice ci ricorda che davanti alle minacce che incombono sul Pianeta, solo dall’alleanza tra tutte le ragazze e i ragazzi del mondo può venire la salvezza.

di Andrea Giuseppe Cerra

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